Acalasia esofagea
mi sembra di Soffocare...!!!Non è la parola esatta.......ma è la prima che viene in mente.....
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Che cos'è l'acalasia esofagea?
L’acalasia esofagea è il disordine motorio primitivo dell’esofago più conosciuto. L’alterazione funzionale tipica di tale quadro patologico non riguarda solo lo sfintere esofageo inferiore, dalla cui incapacità a rilasciarsi in relazione all’atto deglutitorio tale malattia trae la sua denominazione, ma tutta l’attività motoria esofagea, che risulta gravemente compromessa in quanto non più coordinata (aperistalsi). Sono colpiti indifferentemente uomini e donne con una incidenza di 1/100.000 abitanti/anno. L’età più colpita è compresa tra i 20 ed i 50 anni, anche se non rara è l’osservazione in età adolescenziale ed in età avanzata.
quali sono le cause dell'acalasia esofagea?
Per quanto riguarda l’etiopatogenesi, essa è ancora sconosciuta, anche se di recente è stata ipotizzata una degenerazione postgangliare selettiva del viscere su base infettiva. La degenerazione di tutta la rete nervosa intramurale del viscere determinerebbe sia una ipertensione, non sempre presente, dello sfintere esofageo inferiore con relativa incapacità a rilasciarsi in relazione all’atto deglutitorio che una pressurizzazione dell’esofago, una dilatazione del viscere e la perdita dell’attività peristaltica. L’unica forma di acalasia ad etiopatogenesi nota è quella riscontrata nella Malattia di Chagas, endemica in Sud America. La degenerazione su base tossinfettiva delle cellule gangliari intramurali legate all’infestazione da Tripanosoma cruzii sarebbe in gardo di determinare la dilatazione progressiva dell’esofago, del colon, degli ureteri e di altri visceri, configurando la cosiddetta “sindrome dei megavisceri”.
quali sono i sintomi?
L’alterato rilasciamento post-deglutitorio dello sfintere esofageo inferiore e la perdita di attività motoria coordinata del corpo esofageo determinano un grave ostacolo funzionale al transito esofago-gastrico, con conseguente ristagno in esofago di saliva ed alimenti indigeriti, e progressiva dilatazione del viscere con ovvio ridotto assorbimento dei nutrienti. Tali modificazioni morfo-funzionali instaurantesi nel corso di molti mesi o anni spiegano l’andamento ingravescente della sintomatologia, caratterizzata da:
-disfagia
-rigurgito
-calo ponderale.
La disfagia all’inizio può essere incostante ed avvertita inizialmente solo per i cibi liquidi (disfagia paradossa); poi col progredire della malattia la disfagia diventa costante ed estesa anche ai cibi solidi. Nelle fasi iniziali della malattia, quando la dilatazione del viscere è appena accennata, la disfagia può accompagnarsi ad odinofagia e dolore retrosternale ad insorgenza spontanea che può simulare un’angina pectoris. Quando la dilatazione diviene più pronunciata, con presenza di ristagno, si assiste ad una attenuazione della disfagia e del dolore mentre il sintomo più frequente è il rigurgito. Quest’ultimo, inizialmente è modesto, precoce e di sapore non acido. Nelle fasi più avanzate della malattia caratterizzate da una notevole dilatazione del viscere con abbondante ristagno e ed atonia dell’esofago, la disfagia diviene grave e persistente, il rigurgito abbondante e lontano dai pasti e compaiono alitosi, marcato calo ponderale ed anemia. I frequenti episodi di rigurgito possono provocare polmoniti ab ingestis, bronchiectasie o asma. La acalasia è considerata una condizione precancerosa per il carcinoma a cellule squamose dell’esofago: dopo circa 20 anni di malattia il rischio di cancro è intorno al 10% dei casi. Le tappe intermedie per lo sviluppo della neoplasia, che insorge generalmente a livello del terzo medio dell’esofago sono l’esofagite da ristagno e la successiva displasia. Tale evidenza scientifica rende ragione della necessità di effettuare controlli periodici endoscopici, soprattutto nei pazienti con acalasia da più di 10 anni.
-disfagia
-rigurgito
-calo ponderale.
La disfagia all’inizio può essere incostante ed avvertita inizialmente solo per i cibi liquidi (disfagia paradossa); poi col progredire della malattia la disfagia diventa costante ed estesa anche ai cibi solidi. Nelle fasi iniziali della malattia, quando la dilatazione del viscere è appena accennata, la disfagia può accompagnarsi ad odinofagia e dolore retrosternale ad insorgenza spontanea che può simulare un’angina pectoris. Quando la dilatazione diviene più pronunciata, con presenza di ristagno, si assiste ad una attenuazione della disfagia e del dolore mentre il sintomo più frequente è il rigurgito. Quest’ultimo, inizialmente è modesto, precoce e di sapore non acido. Nelle fasi più avanzate della malattia caratterizzate da una notevole dilatazione del viscere con abbondante ristagno e ed atonia dell’esofago, la disfagia diviene grave e persistente, il rigurgito abbondante e lontano dai pasti e compaiono alitosi, marcato calo ponderale ed anemia. I frequenti episodi di rigurgito possono provocare polmoniti ab ingestis, bronchiectasie o asma. La acalasia è considerata una condizione precancerosa per il carcinoma a cellule squamose dell’esofago: dopo circa 20 anni di malattia il rischio di cancro è intorno al 10% dei casi. Le tappe intermedie per lo sviluppo della neoplasia, che insorge generalmente a livello del terzo medio dell’esofago sono l’esofagite da ristagno e la successiva displasia. Tale evidenza scientifica rende ragione della necessità di effettuare controlli periodici endoscopici, soprattutto nei pazienti con acalasia da più di 10 anni.
diagnosi
Un’accurata raccolta dell’anamnesi e lo studio radiologico accurato possono essere suggestivi di un quadro di acalasia, tuttavia è la manometria esofagea (o la manometria ad alta risoluzione) che rappresenta il gold standard diagnostico per la diagnosi di certezza. L’esofagoscopia è indispensabile per escludere tutte quelle patologie organiche (neoformazione esofagea, neoformazione cardiale, stenosi peptica distale primitiva) che simulano quadri clinico-radiologici simil-acalasici.
Il reperto radiografico permette invece di documentare alcuni aspetti caratteristici della malattia: una dilatazione del viscere di entità variabile, un restringimento precardiale (aspetto cosiddetto “a coda di topo” o “a becco di pappagallo”) , un difficoltoso transito esofago-gastrico con ristagno del mezzo di contrasto e la scomparsa della bolla gastrica. In rapporto al grado di dilatazione si distinguono tre stadi della malattia:
L’indagine specifica per la formulazione della diagnosi è lo studio manometrico dell’attività motoria esofagea la quale permette di evidenziare l’incapacità dello sfintere esofageo inferiore a rilasciarsi con gli atti deglutitori e la scomparsa dell’attività peristaltica del corpo esofageo. Con la manometria esofagea stazionaria è possibile identificare tre sottotipi di acalasia, che secondo molti Autori rappresenterebbero semplicemente la stessa malattia individuata nei suoi diversi stadi evolutivi: quella “vigorosa”, causa di dolore retrosternale e tipica delle fasi iniziali di malattia, caratterizzata da onde di contrazione simultanee e ripetitive, spesso di ampiezza aumentata; quella “classica”, più frequente, caratterizzata dalla presenza di complessi motori simultanei di ampiezza normale o diminuita; quella “acinetica”, tipica della fasi avanzate di malattia in cui non si osserva alcuna attività motoria del corpo esofageo. La manometria ad alta risoluzione, di recente introduzione, è impiegata per la caratterizzazione della funzionalità esofagea in maniera molto più accurata che la manometria esofagea stazionaria. Il vantaggio specifico della manometria ad alta risoluzione è che essa consente una registrazione continua dell’attività motoria dell’esofago in tutta la sua lunghezza contemporaneamente, con una più completa e dettagliata rappresentazione grafica della motilità esofagea. Il sistema di registrazione produce un grafico a colori con il tempo sull’asse delle ascisse e la lunghezza dell’esofago su quello delle ordinate. L’interpretazione dei quadri manometrici è codificata da parametri stabiliti nella cosiddetta “Classificazione di Chicago”. Proprio secondo quest’ultima classificazione ed analogamente a quanto già descritto per la manometria stazionaria, in relazione ai diversi quadri manometrici, si riconoscono tre sottotipi di acalasia: “Tipo 1” con pressurizzazione minima; “Tipo 2” con compressione esofagea; “Tipo 3” con spasmi. |
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trattamenti
Intervento chirurgico di "Miotomia extramucosa esofagea sec. Heller con plastica antiriflesso sec. Dor per via Robotica" eseguito presso l'Ospedale "San Matteo degli Infermi" di Spoleto
La terapia della acalasia esofagea ha come obiettivo la risoluzione dell’ostruzione funzionale dello sfintere esofageo inferiore, dal momento che la grave alterazione motoria del corpo esofageo irreversibile: l’unico trattamento curativo sarebbe solo una esofagectomia totale. Pertanto sia la terapia medica, sia endoscopica sia chirurgica costituiscono dei trattamenti palliativi. La terapia medica con farmaci ad attività rilassante la muscolatura liscia dell’esofago (nitroglicerina, calcio-antagonisti e beta-stimolanti), per i risultati modesti e transitori, trova una sua giustificazione solo in pazienti anziani non suscettibili di altro trattamento. Tra i trattamenti endoscopici si annovera l’iniezione intrasfinterica di tossina botulinica, la dilatazione pneumatica e la recentissima POEM (PerOral Endoscopic Myotomy). L’iniezione perendoscopica di tossina botulinica, basata sulla proprietà delle neurotossina di inibire il rilascio di acetilcolina dalle terminazioni nervose e quindi di bloccare gli stimoli eccitatori colinergici, presenta risultati soddisfacenti a breve termine >80% che si riducono nel tempo a meno del 60%, nonostante iniezioni ripetute di tossina. L’obiettivo della dilatazione pneumatica è invece quello di lacerare un adeguato numero di fibre muscolari cardiali, tanto da migliorare il transito esofago-gastrico. Le percentuali di successo a lungo termine si aggirano intorno al 65% appena. Inoltre per il raggiungimento e la stabilizzazione del risultato spesso sono necessarie dilatazioni ripetute: tutto ciò comporta una sclerosi cardiale che inficia il risultato delle dilatazioni successive e rende più complesso l’eventuale intervento chirurgico necessario per la risoluzione del quadro clinico. Poco più di due anni fa, in Giappone, è stata ideata una nuova procedura endoscopica che si propone come alternativa alla chirurgia nel trattamento dell’Acalasia. Si tratta della P.O.E.M. (Per-Oral Endoscopic Myotomy). La procedura consiste nell’eseguire una miotomia esofagea per via endoscopica, evitando quindi l’incisione cutanea, necessaria per l’atto chirurgico convenzionale. La metodica prevede un’incisione sulla mucosa esofagea, nel tratto medio dell’esofago, creando successivamente un tunnel (tunnellizzazione) sottomucoso, fino a raggiungere i fasci muscolari interni (fibre circolari) dello sfintere cardiale, sezionando infine lo sfintere. Essendo una metodica di recente introduzione mancano risultati solidi a lungo termini e sono inoltre necessari studi con ampi numeri di pazienti per validare gli outcomes di tale tecnica. Ad oggi, vantando più dell’80% di successo a lungo termine nella risoluzione dei sintomi acalasici, il gold standard del trattamento della acalasia è la miotomia secondo Heller per via laparoscopica integrata con il confezionamento di una plastica antireflusso. Il razionale dell’intervento consiste nell’eseguire una sezione delle fibre muscolari della tonaca longitudinale esterna e della tonaca circolare interna della parete anteriore esofagea per un’estensione di circa 2 cm prossimalmente alla linea di giunzione esofago-gastrica repertata endoscopicamente e distalmente per circa 3 cm sul versante gastrico. Con tale miotomia esofago-gastrica si andrebbero ad elidere anche i fasci muscolari delle cosiddette “slings fibers” e “clasps fibers” che originerebbero dal collare di Helvetius portandosi verso la parete anteriore della giunzione esofago-gastrica ad anastomizzandosi con le fibre muscolari sfinteriali (così come descritto da un interessante studio anatomico di Stein HJ e Liebermann-Meffert), suggerendo peraltro l’inutile pratica di miotomie lunghe estese solo in corrispondenza del versante esofageo. Nei pazienti con dolicomegaesofago il trattamento più affidabile e definitivo è dato dalla esofagectomia con ricostruzione della continuità alimentare mediante il confezionamento di una esofago-gastroplastica cervicale, oggi eseguito anche con tecnologia minivasiva.
chirurgia robotica
La chirurgia robotica rappresenta la nuova frontiera della chirurgia mini-invasiva ed è l’evoluzione della chirurgia laparoscopica. Con il robot “Da Vinci”, uno dei robot chirurgici più diffusi al mondo, che conferisce al gesto chirurgico una precisione non confrontabile con altre tecniche, si possono infatti superare i limiti legati alla difficoltà di trattare, con la laparoscopia, patologie in sedi anatomiche difficili da raggiungere, estendendo, ad interventi complessi, i benefici della mini-invasività: riduzione delle cicatrici chirurgiche, dolore postoperatorio ridotto, minor degenza postoperatoria. I vantaggi della chirurgia robotica sono l’utilizzo di bracci articolabili che permettono un range di movimenti e con degli angoli impensabili per la chirurgia laparoscopica e che mimano in un certo senso i movimenti degli arti superiori. Il chirurgo operatore comanda i bracci robotici da una console attraverso due joistick ed ha la visione del campo operatorio grazie a un visore che consente di apprezzare le immagini in alta definizione ed in maniera tridimensionale, recuperando, quindi, anche la terza dimensione, assente in laparoscopia.
Attualmente, presso la "Chirurgia Generale ed Oncologica" dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria Senese (SI) sono eseguiti interventi robotici di trattamento dell'acalasia esofagea,
Attualmente, presso la "Chirurgia Generale ed Oncologica" dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria Senese (SI) sono eseguiti interventi robotici di trattamento dell'acalasia esofagea,